martedì 27 novembre 2007

"Il Filo Rosso"

Trattiamo il mondo come trattiamo i soldi.
Vedi, il fatto è che non c’è nulla che mi dà più fastidio di ciò che è imposto; quando sono davanti ad un obbligo che non ho scelto io, incomincio ad agitarmi, sudo, mi innervosisco, ed è meglio girarmi al largo.
Ora, ascoltami, ti prego.
Quando io ti dò dieci euro per comperare qualcosa da te, in fondo, lo sappiamo tutti e due che io ti sto dando un foglio di carta in cambio di un oggetto. Tu lo accetti perché sei sicuro che qualsiasi altra persona giudicherà anch’esso quel foglio di carta come dieci euro, punto e basta. (se ti è capitato di incontrare gente per la quale non è così, per favore, fammelo sapere. Si tratta di pazzi rivoluzionari, e meritano anch’essi un posto in questa casa comune, l’inferno).
In ogni caso, questa è una regola imposta.
Tu la accetti e non c’è un cazzo da fare, è così per tutti e se non vuoi differenziarti deve essere così anche per te.

Con i confini del mondo, usiamo lo stesso mediocre e infido ragionamento.
Da uno sconfinato oceano, emersero con i millenni le terre calpestabili, e in esse la vita. Quando arrivò l’uomo, qualcuno, o forse una associazione di uomini, decise di dividere questi confini in continenti, stati, regioni e città.
Ma se questo ragionamento poteva andare bene al fine di concludere più facilmente i suoi affari, non è detto che debba valere per il resto della popolazione mondiale.

Fratelli, oggi siamo più di sei miliardi di esseri umani tutti praticamente diversi l’uno dall’altro, con in comune il pianeta che ci ospita, almeno in questa vita.

Per ogni razza hanno trovato una terra, per ogni terra un nome, per ogni nome un proprietario.

Tutti seguono questa regola, la più mercificante, violenta e pericolosa in assoluto, tutti la trattiamo come un dato di fatto, che non potrebbe andare diversamente, che una diversificazione è necessaria, che, che, che, che….

Una terra si chiama America un’altra Iraq, e i rispettivi proprietari hanno interessi l‘una sull’altra, litigano, ma invece di prendersi a pugni loro vanno a far ammazzare le rispettive genti.
Una terra si chiama Israele, l’altra Palestina, e chissà quanto altro si dovrà discutere per evitare che scoppi un’altra guerra.

Perché la diversificazione della terra ha portato un fenomeno di “indurimento” culturale, che ha dato vita a economie, religioni e filosofie che inevitabilmente, essendo diverse e fondamentalmente chiuse al dialogo (come d’altronde qualsiasi altra cosa creata per aumentare il profitto dei pochi sulle masse) vanno a scontrarsi tra di loro creando disastrosi incidenti teologici, culturali e politici.

Ovviamente succede anche che qualche pazzo, leggermente più pazzo degli altri, si senta in diritto di fare colpi di stato, diventando un dittatore, il quale sempre degenera, anche se (cosa che non succede mai) dovesse partire da una buona radice.

Per stare in un’altro paese devi avere il permesso di soggiorno, come se il diritto di stare dovunque vuoi, non ti sia dato DAL FATTO CHE SEI NATO E VIVI SULLA STESSA TERRA PORCA PUTTANA!
Vaffanculo.
Se vado in Cina, non sono diverso dai cinesi, se vado in Egitto non sono diverso dagli egiziani, se vago per il mondo io non sono diverso dal mondo.
Io parlo la stessa lingua che parlano tutti, quella dell’umanità, dell’uomo.
In me scorre il sangue che scorre nelle vene di chiunque, da qualsiasi parte del pianeta.

Ricordatelo. Per me siete tutti fratelli, figli della speranza.

Insomma, il guaio del mondo non è che siamo diversi o lontani, è che siamo divisi.

Religioni, stati, filosofie, economie, tutti muri che ci tengono imprigionato il cuore, e la grandezza possibile del genere umano.

Dimmi fratello, chi ha deciso il destino del mondo, disegnando con le sue mani incoscienti quel filo invisibile che ha dato inizio ad ogni sciagura?

Dimmi, fratello, chi cancellerà, con un soffio, quella linea invisibile e sporca di sangue?
Mario Clavi
Diario di un ragazzo immerso nel buio---
@Tutti i diritti riservati.

sabato 24 novembre 2007

Le tue stanze vuote


Altolà, fratelli. Siete arrivati a casa vostra.
Mostrate qui la vostra luce, l’inferno è la nostra casa comune.

Ci chiamano figli del silenzio.

Cresciuti in un mondo che non abbiamo costruito noi e che ci siamo ritrovati, siamo schiantati dal peso del dolore del passato.

Senza saperlo, paghiamo lo scotto della sconfitta delle generazioni che ci hanno preceduto: illusioni di libertà seccate dal tempo che passa, odori e profumi di manifestazioni in piazza ormai lontane; in quelle strade di città, in quei prati dove una volta sono passati giovani figli decisi a cambiare la vita, ormai vive e regna una solitudine piovosa.

Vedi, fratello, questa è la nostra casa perché per una volta tanto possiamo non fingere.

Non fingere di essere come gli altri, possiamo toglierci la nostra maschera per raccontarci le nostre paure, le nostre ansie, i nostri sogni, i nostri desideri; senza interruzione, senza, per una volta, interferenze.
Siamo soli, io e te; e ciò che mi dirai non cadrà nel silenzio, ma risiederà per sempre nella mente, nella memoria e nell’anima di un ragazzo immerso nel buio.

Senza fingere di non provare sentimenti che vanno fuori dal comune, senza paura di essere presi per pazzi; senza fingere di essere ciò che non siamo.

Non chiedo nulla di più che te stesso, e ora ti passa davanti un’ occasione per mostrare la parte più pura di te, quella che sta sott’acqua e che disperata tenta ogni giorno di uscire.

Ora e qui, in questo luogo immerso nel buio, dove le parole rimbalzano sui muri, dove gli occhi, invisibili, hanno la loro capacità di scrutare dentro, fino nelle viscere.

Qui, nel posto più improbabile, dove solo per sbaglio puoi capitare, forse potrai trovare le chiavi.
Quelle chiavi che per tanti anni hai cercato, smarrite in qualche luogo della tua infanzia, quelle chiavi calde, di casa; quelle chiavi che solo una porta possono aprire: quella delle tue stanze vuote, fredde, ghiacciate dalla vergogna, dall’ impressione che vuoi fare agli altri, dai luoghi comuni.

Quelle stanze silenziose come la neve che cade la notte, quelle sono il tuo luogo immerso nel buio.
Condividilo con me: un raggio di sole, forse, apparirà a riscaldare le pareti.

Mario Clavi
Diario di un ragazzo immerso nel buio
---tutti i diritti riservati---

giovedì 22 novembre 2007

"Alberi d'Inverno"


Voglio iniziare subito fratello; mi è sempre piaciuto il contorno delle cose, partire da lontano e arrivare in centro, sempre più vicino, sempre più vicino.
Invece molti nella nostra epoca partono dalla meta e velocemente si allontanano dalla loro vita, dai loro sogni; aspirati senza pietà della logica del potere, alla ricerca di promesse ormai da troppo tempo infrante, schiacciate.

Ascoltami: io sono vivo perché ci stiamo perdendo.

Qualcosa che non va, te ne sarai accorto, c’è. Il freddo, il gelido distacco tra me e te è sempre maggiore, l’imbarazzo di una parola o di un abbraccio aumenta. Passiamo per la strada, pigri e folli di realtà, e se per caso ci scontriamo spalla contro spalla ci guardiamo, dalle nostre labbra esce un tiepido “mi scusi!” e controlliamo nelle tasche se c’è ancora il portafogli.
E la stessa cosa, se pur in dose leggermente minore, vale anche per voi, sorelline che state leggendo.

Vaffanculo.

Gli occhi del mondo sono sempre più chiusi e c‘è sempre meno spazio alla tenerezza di ogni giorno; vi prego, se non ve ne siete accorti, fatelo, guardate con spirito critico ciò che vi circonda, siate vivi.

Ma, in fondo, è più facile far finta di niente.
Finta di niente, che nulla succede.

O no?

Far finta di niente, fratelli. La scintilla che dà inizio ad ogni guerra.
La mia nazione è in guerra, una guerra di marketing fatta da facce di gomma che esportano democrazia e pace con i carri armati e tornano con barili di petrolio, ma in fondo io cosa posso fare? Faccio finta di niente.
Muoiono bambini del terzo mondo di malattie che noi possiamo curare; ma in fondo, cosa posso farci io, piccolo elemento lavoratore di una realtà meschina e senza tempo? Io faccio finta di niente perché la mia realtà è comoda e senza dolori, e le responsabilità che ho in qualità di essere umano e abitante della terra sembrano svanire, come la prima nebbia della notte che si arrende al giorno.
E se davanti a me, nella mia città, nelle mie strade, muore la gente di fame e di freddo? Cosa posso farci? In fondo guadagno mille euro al mese e non posso certo aiutarli io a mangiare e coprirsi.

Così se ne va la vita, e così le miserie umane continuano.
Disgustati senza saperlo, nel fondo dell’anima, dal perbenismo comune, siamo come alberi di un inverno perenne.

Mai il sole arriva a farci spuntare fiori e frutti nella mente.

Ma l’albero d’inverno, fratello, conserva, sotto la terra, in un posto arcano e irraggiungibile, un palpito di vita, un cuore caldo e rosso che pulsa, in attesa di liberarsi nella nuda terra, riscaldandola.

Noi siamo gli alberi.

Ascoltate uno degli ultimi gridi di un ragazzo che non può far altro che gridare; fate sbocciare i vostri rami, colorate il mondo con le vostre profumate essenze, stupitemi con i battiti del vostro cuore.

L’estate, fratelli miei, sembra così potente e lontana, ma è ai nostri ordini, è serva dell’uomo, e sboccia con i suoi colori quando la mente dell’uomo è pronta ad aprirsi.

Fatelo oggi, fatelo ora, se non a vostro nome, fatelo a nome dell’umanità, della pietà, della grandezza dell’uomo.
Uscite con il sorriso, parlate con i vostri simili che sono in strada, cercate di capire le loro parole a volte confuse e tartagliate, loro hanno ancora molto da dire.

Portate caldo dove c’è freddo, agite come un combattente con la spada, schierato nelle file dell’ultima speranza.

Fatelo, facciamolo insieme, miei poderosi e millenari alberi; dentro di voi pulsa la vita di migliaia di anni, dentro di voi avete la perla di visioni di sogni.

Fatelo, prima che qualche altro freddo e meschino idiota, con qualche ultimo ritrovato di una tecnologia evoluta ma già morta, tagli, cieco e senza speranza, le vostre profonde radici.

Mario Clavi
“Diario di un ragazzo immerso nel buio”
---Tutti i diritti riservati e proprietà dell’autore---